La Casa Hohenstaufen viene
denominata "di Svevia" perchè aveva unificato e dominato quel territorio, che
comprende una vasta area della Germania meridionale, dall'alta valle del
Danubio, al Neckar ed arriva fino alla regione di Zurigo.
La Svevia (Schwaben), fin dal I secolo a. C., era stata abitata, dai Suebi,
raggruppamento etnico di tribù germaniche quali i Marcomanni, i Quadi, i
Longobardi e gli Alamanni, con i quali ultimi vennero poi identificate tutte
quelle popolazioni. Il Casato assurge al soglio imperiale con Federico I il
Barbarossa , ma il primo vero contatto tra gli Svevi ed il Meridione d'Italia
avviene alla morte di Guglielmo II di Sicilia -ultimo normanno della discendenza
di Tancredi di Hauteville Guichard-, quando Enrico VI Hohenstaufen , già
consorte di Costanza d'Altavilla, e quindi genero di Guglielmo II, scende in
Italia per rivendicare i troni di Sicilia, Puglia e Calabria. Contro Enrico VI
si schierano i Normanni di Salerno e Palermo che attribuivano il trono al
normanno Tancredi di Lecce, figlio illegittimo di Ruggiero II. Senza por tempo
in mezzo Enrico VI assedia Napoli nel 1191 e Salerno, che cade nel 1194 subendo
i conseguenti saccheggi, devastazioni e violenze da parte dei soldati invasori.
Nello stesso anno, con l'aiuto delle flotte di Pisa e Genova, Enrico VI invade
ed occupa la Sicilia. La moglie di Tancredi di Lecce- morto improvvisamente sei
mesi prima-, Sibilla, (che con i figli del cancelliere salernitano Matteo
D'Aiello, aveva tentato una inutile resistenza, per poi consegnarsi ad Enrico ed
assistere alla sua incoronazione a re di Sicilia nel Duomo di Palermo), viene
deportata in Svevia, col piccolo Guglielmo III, ultimo discendente della
dinastia normanna, il quale viene accecato, evirato e rinchiuso nella fortezza
di Hohenems nel Voralberg. Inizia, con la strage di centinaia di baroni
siciliani attirati a corte con la promessa di amnistia, la dominazione Sveva
dell'Italia Meridionale. Enrico VI, eliminando con barbare esecuzioni e torture
la restante nobiltà normanna, riesce ad instaurare il proprio sistema di dominio
feudale prima di morire nel 1197, seguito, nel 1198, dalla moglie Costanza
d'Altavilla : il loro unico figlio, Federico, incoronato a soli tre anni Re di
Sicilia e Puglia, viene affidato alla tutela di Papa Innocenzo III, reggente del
Regno.
La città di Salerno, per circa un decennio, resta in potere del conte svevo
Diopoldo di Roccadarce, vassallo di Enrico VI, fino alla incoronazione , nel
1211 a Magonza, di Federico II di Svevia "stupor mundi". Questo imperatore che
per tanti versi è stato il principale personaggio dell'epoca , è una figura
cruciale per il destino della città di Salerno. Svevo da parte paterna e
normanno da quella materna, Federico II non percepì alcun legame di patria con
la prima capitale normanna, ma piuttosto con Palermo, dove passò parte
dell'infanzia, e con Napoli, dove venne meglio accolto, e di cui decise di
favorire lo sviluppo e l'importanza politica e militare a scapito di Salerno.
Federico II incoronato, a 13 anni, continuò, senza titubanze, la politica
accentratrice ed assolutistica del padre e del nonno. Sebbene colto e liberale
nell'ambito della propria corte, egli, che aveva vissuto l'infanzia sotto la
continua minaccia di essere assassinato da uno dei vari pretendenti al trono, si
apprestò ad eliminare -in senso letterale- tutte le possibili fonti di
opposizione al suo dominio.
Di questa politica furono vittime non solo i vassalli che dimostravano una poco
trasparente sottomissione, ma anche le semplici espressioni di autonomia locale,
le municipalità della miriade di fiorenti comuni del mezzogiorno d'Italia che si
erano sviluppate a partire dal periodo bizantino e longobardo. La piccola
nobilitate cittadina, le consorterie di commercianti, le gilde di artigiani e di
intellettuali, medici, speziali, notari che nel nord d'Italia, e anche di altre
parti d'Europa, avevano saputo tener testa, anche vittoriosamente, al
Barbarossa, furono, nel regno di Federico II, sistematicamente eliminate e
sostituite da fedeli vassalli e funzionari di uno stato feudale e centralistico
il cui fulcro era l'Imperatore. E' da questo periodo che nasce la divaricazione
nella cultura politica, economica ed amministrativa, tra il nord ed il sud della
Penisola: ad un nord frazionato in tante autonomie locali -che sfoceranno
nell'età dei Comuni e delle Signorie- si contrappone un sud forzatamente
unificato in un "Regno" con unica amministrazione, unica organizzazione ed unico
centro di potere. Tale diversità darà prova e sarà causa delle alterne
situazioni di forza e di debolezza che ciascuna organizzazione del potere
politico produrrà nel corso dei secoli seguenti.
Nel 1220 Federico II nomina l'arcivescovo di Salerno "giustiziere", cioè giudice
ed amministratore, degli abitanti delle terre della sua chiesa; nel 1224 fonda
l'Università di Napoli, togliendo importanza allo "Studio" -ben più antico- di
Salerno, anche se nelle "Costituzioni Melfitane", l'imperatore
svevo sancisce il riconoscimento legale della Scuola Medica di Salerno. Nel
1250, dopo una epopea indubbiamente ricca di avvenimenti che poco toccarono la
città di Salerno, muore Federico II e gli succede Corrado II che, tra i vari
atti, riconosce alla Scuola Medica Salernitana la qualifica ufficiale di
"studium" ed aggrega ad essa l'Università di Napoli; è questo probabilmente
l'atto che riconcilia Salerno con la dinastia sveva, anche se fu sotto il regno
di Manfredi , nel 1258, che fu ricostruita ed ampliata parte della cinta urbana
e, grazie anche alle opportune sollecitazioni del nobile salernitano Giovanni da
Procida, fu costruito il molo del porto cittadino.
Ma nel 1266 Manfredi viene sconfitto a Benevento, grazie anche alla defezione di
molti suoi riottosi vassalli, da Carlo d'Angiò, e l'idillio tra la città e la
dinastia sveva si interrompe bruscamente. Anzi la fedeltà dei salernitani agli
svevi, testimoniata anche dall'impegno di Giovanni da Procida
nell'organizzare la resistenza e la rivolta al nuovo dominatore, provoca la dura
reazione degli angioini, e porta alla città distruzioni, soprusi, angherie e
devastazioni, in una tragica ripetizione di quanto era accaduto alla fine del
regno normanno. Due anni dopo la morte di Manfredi , Corradino di Svevia, sceso
in Italia per riconquistare quella parte del proprio impero, viene sconfitto a
Tagliacozzo e decapitato a Napoli nel 1268, determinando così la fine del
dominio degli Hohenstaufen. Nonostante tutte le vicissitudini la città, nel
frattempo, continua la sua lenta espansione; all'inizio del periodo angioino
Salerno appare divisa in quattro rioni : il Planus Montis, la zona alta della
città che parte dal Castello e scende fino al decumano che unisce Porta Rotese a
est, con Porta Nocerina ad ovest; il locus Veterensium, dove Guaiferio aveva
consentito si stabilissero dei profughi vietresi, che, tra vicoli e stradine, si
estendeva dalla chiesa di Santa Trofimena fino alla via degli Speziali; la
Curtis Dominica, che era il luogo più vitale della Città, dove era situato il
palazzo principesco di Arechi, gli uffici amministrativi e giudiziari e che
confinava ad est con la Drapparia, attuale via dei Mercanti, e a sud si apriva
con la Porta di mare, direttamente sul Tirreno; infine ad ovest il rione più
recente l'Ortus Magnus, che iniziava ad ovest con via Duomo, includeva la
Cattedrale di San Matteo ed il castel Terracena, ed arrivava ad est alla cinta
muraria, sulla quale si apriva la porta Elina, la Porta Nova, e, da ultimo, la
Porta dell'Angelo, al piede del vicolo Ruggi.